TRAMA
Pietrogrado, 19 dicembre 1916. Il principe Feliks Jusupov scorta il monaco Rasputin nel suo palazzo, con la scusa di volergli presentare la moglie. Ad attendere il mistico, invece, ci sono dello sherry avvelenato e dei pasticcini al cianuro, preparati da alcuni tra i più influenti personaggi di corte, riuniti in complotto. Ci saranno anche dei colpi di pistola e il lancio del corpo, di notte, nelle acque ghiacciate del fiume Moika. Da queste Rasputin verrà recuperato ancora vivo, a testimonianza di una resistenza fuori dell'ordinario, che ha confermato e perpetrato oltre la morte una leggenda già nata e cresciuta durante la sua vita.
Louis Nero si assume il compito di far riemergere la figura storica di Rasputin, “the black monk”, dalle accuse di occultismo per invertire la direzione del suo viaggio terreno e trasformarla da una discesa agli inferi ad un percorso iniziatico, modellato per volontà dello stesso Rasputin su quello del martirio del Cristo.
La messa in scena è teatrale, nella recitazione e nella scelta scenografica, ma la scelta di regia più evidente mira a dare un'impronta pittorica alla narrazione, con l'utilizzo di finestre e ritagli, interni all'inquadratura, che rimandano a certo Greenaway - da sempre tra i modelli del regista - ma anche alla composizione delle icone russe. Il più delle volte l'immagine si risolve in un trittico, con la scena al centro e la riproposizione di alcuni dettagli a destra e sinistra, talvolta identici e talvolta dissimili, a riproporre non solo e soltanto la figura di una croce ma in generale a fare del dettaglio cinematografico un simbolo. Nero cerca un cinema sincretico, nel quale all'immagine sia fornito il compito di comunicare più di un messaggio contemporaneamente e, allo stesso tempo, di racchiudere in sé referenti molteplici (di qui anche la scelta di mantenersi in una dimensione atemporale, nonostante il costume).
Il regista divide il quadro in due metà, tanto in verticale, come è più comune, che in orizzontale, sfruttando il soffitto che separa la sala bassa in cui dialogano Rasputin e Feliks dal salotto della congiura, al piano di sopra, e veicola così, con assoluta immediatezza, il messaggio di doppiezza che motiva la scelta del soggetto e la sua aura di mistero. Chi fu davvero Rasputin? Un santo o un demonio? Un mistico o un peccatore? Uomo illuminato, un guaritore, o un oscuro consigliere del Male e un impostore? Il giovane regista piemontese dice la sua in merito, con questo film decisamente più interessante che riuscito, tutto d'atmosfera, immerso nella musica ipnotica di Teardo, nella nebbia e nel buio, dal quale emergono, efficaci, gli occhi spiritati di Francesco Cabras.
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