mercoledì 6 aprile 2011

Rango (2011)

TRAMA
Chiuso in un piccolo acquario scoperto, abituato a relazionarsi unicamente ad una palma finta, un insetto morto e una bambola a cui mancano la testa, un braccio e le gambe, un camaleonte si crede un attore. Mentre viene trasportato in macchina lungo il deserto al confine tra Stati Uniti e Messico un imprevisto lo sbalza fuori dall'abitacolo e cambia tutta la sua vita. Da che era solo in un acquario ora è solo nel mezzo del deserto.
Fosse stato un cartone animato Pixar il camaleonte protagonista avrebbe affrontato un viaggio impossibile lungo tutta la vastità desertica per tornare nella macchina dai suoi affetti, invece è un film di Gore Verbinski (regista di The ring e Pirati dei Caraibi), realizzato dalla Industrial Light And Magic per la prima volta alle prese con l'animazione dopo decenni di trionfi nel campo degli effetti speciali. Non ci sarà nessuna odissea ma una grande avventura, nel senso più classico del termine.
Il camaleonte che si crede attore, arrivato nella cittadina di Polvere, capisce istintivamente di trovarsi in western e si adegua. Diventa così Rango, pistolero infallibile, che sembra il Clint di Leone. E non solo lui. Tutto il film da quel momento in poi è un western leonino (con solo alcune concessioni agli altri maestri del genere), fatto di volti e caratteristi prima che di spazi, fatto di polvere, sporco e deformità prima che di valori incrollabili.
Verbinski affronta il suo primo film di animazione come fosse un'opera dal vero, piega il mezzo alle sue esigenze e per almeno tre quarti gira un film al suo meglio. La meta-storia di un camaleonte attore che recita il ruolo dell'eroe e a furia di farlo finisce per diventarlo, sembra attraversare tutta la storia del West, dal mito fondante, alla frontiera, al crollo degli eroi, la disillusione e gli spaghetti. Tonnellate di spaghetti (e un'apparizione allucinata dello straniero senza nome). E non c'è solo il west dichiarato in questo western ma entrano anche molti altri film che non hanno cavalli e sceriffi eppure sono dei perfetti western come il Chinatown di Polanski (da cui è prelevata la figura del sindaco con l'ossessione per il business dell'acqua).
Peccato che nel finale l'idea di unire le due mitologie del deserto (quella classica e quella moderna) appesantisca il film e ne rallenti il ritmo furioso. Il deserto tipico del west, il luogo di frontiera da conquistare, sottomettere, coltivare e da cui estrarre la vita, diventa anche il deserto psichedelico del cinema e della musica moderna (almeno dagli anni ‘60 in poi), il luogo che sottomette l'individuo e che lo obbliga a trovare se stesso attraverso un processo allucinatorio.
Rango volendo essere troppo esagera, deborda e perde in qualità e solidità. Questo non toglie però che sia uno dei lungometraggi d'animazione più interessanti, curiosi e peculiari passati nei nostri schermi negli ultimi anni.

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