sabato 26 gennaio 2013

Lincoln (2013)

TRAMA
Negli ultimi quattro mesi della sua vita, Abraham Lincoln cambiò la storia dell'umanità ponendo legalmente fine alla schiavitù dei neri d'America. L'ottenimento dell'approvazione del 13° Emendamento in discussione alla Camera dei Rappresentanti richiese una battaglia ardua ed estenuante, condotta contro il tempo e nell'ambito di una devastante guerra civile: una guerra nella guerra che lo coinvolse totalmente, come Presidente, come padre, marito e come uomo. Al cinema, come nella letteratura, esistono due grandi strade: da un lato ci sono le pellicole che si lasciano impressionare, evitando il più possibile d'intervenire sulla realtà, e dall'altro ci sono le pellicole che impressionano, costruendo una narrazione ad hoc. Che il cinema di Spielberg appartenga a questa seconda categoria non è un mistero, eppure questa volta, più che in precedenza, quest'appartenenza è ribadita apertamente. "Noi siamo balenieri", dice Lincoln, citando uno dei maggiori romanzi americani, quel "Moby-Dick" che narra appunto di una missione che non dà scampo, che non si può abbandonare nemmeno di fronte alle richieste più razionali (qui neppure davanti all'ipotesi della cessione immediata di un conflitto che ha già versato una quantità disumana di sangue). Inoltre, nel caso non fosse abbastanza chiaro, Spielberg fa di Lincoln un racconta storie, ovvero un narratore, qualcuno che, per analizzare la realtà, ha bisogno di passare dal filtro dotato di ordine e di senso del racconto. Con l'aiuto fondamentale della sceneggiatura di Kushner (già autore del meraviglioso Munich), il regista ci invita dunque dentro un grande romanzo, dove ogni personaggio ha il suo momento ma tutti convergono come falene verso un'unica luce, emanata dal protagonista. L'impresa, tentata e superata, è quella di rendere intima e interiore una questione di giustizia e di politica universale. Man mano che il film si dipana, infatti, appare sempre più evidente come per Lincoln, che all'epoca dei fatti era già un leader molto amato, far passare l'emendamento non fosse un obiettivo accessorio né il frutto di una fortunata coincidenza: ne andava della sua identità storica e privata, dice il film, che sovrappone alla perfezione i piani. Come un dagherrotipo, che richiede un certo tempo di esposizione, Lincoln abbisogna di tutta la sua durata per restituire un ritratto integro, che, prima che di un uomo, è soprattutto il ritratto di una visione politica. Una visione che combina idealismo e realpolitik, illuminando due fattori fondamentali: da un lato, la statura eccezionale dell'essere umano (che in termini cinematografici si traduce nella scelta di un attore come Daniel Day-Lewis), dall'altro la capacità di guardare al di là delle convenienze (è suo figlio forse diverso dagli altri figli, che sta sacrificando sul campo come mosche?) e di usare quasi ogni mezzo, se il fine è di natura superiore. Non si può, perciò, pensare che il film di Spielberg non parli, oltre che del passato, anche al presente e al futuro.

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