TRAMA
Franky e il suo socio, due piccoli delinquenti, accettano il colpo che gli viene proposto e svaligiano una bisca clandestina. La colpa dovrebbe ricadere sul gestore, per via di un suo vecchio errore. Ma le cose si complicano. La mafia fa allora appello a Jackie Cogan, perché regoli i conti e restauri i rapporti di potere.
Dopo L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, il regista neozelandese Andrew Dominik ha scoperto e divorato l'opera omnia di George V. Higgins, ex procuratore aggiunto di Boston e indubbia conoscenza letteraria di Tarantino. Quindi ha scelto di adattare "Cogan's Trade", un libro del 1974. Realisti nell'accezione della realtà quando supera la fantasia, i romanzi di Higgins sono fatti di dialoghi e il film di Dominik è abile a non perderseli, ma non aggiunge molto altro.
Alla base dell'adattamento, al di là dello spostamento in Lousiana nei giorni in cui Bush sta per lasciare il posto ad Obama, c'è un'idea di attualità: l'economia è in crisi, tutta l'economia, anche quella mafiosa. La cupola è un sistema e, esattamente come quello bancario, prevede debiti e crediti, interessi da "pagare", costi da sostenere. Assoldare un killer richiede un esborso, ma il prezzo si alza in base alle garanzie offerte dal soggetto e si abbassa quando non c'è denaro in giro, proprio come ogni altro commercio di questi tempi.
La metafora, che il regista esplica punteggiando la crime story con i discorsi politici sullo stato dell'economia americana provenienti dalle autoradio e dalle televisioni, si spinge evidentemente più in là, fino ad accusare i governanti di essere, al pari dei banchieri, dei criminali e dei truffatori, imprese private a scopo di lucro. Ma è un'idea e una soltanto e non è ripetendola ad ogni occasione che il film si riempie. Anzi. Dopo un inizio accattivante, per il tono comico-cinico dei dialoghi e le facce messe in campo, si svuota progressivamente, procedendo verso il nulla.
Nonostante gli uomini giusti al posto giusto, specie Ray Lotta e Gandolfini, ma anche Pitt e Ben Mendelsohn nei panni del più folle della brigata, Russel, Killing them softly gira su se stesso, fagocitato dalla logica del sistema chiuso che fotografa. Accade molto poco, la scrittura brillante è però afona in materia di contenuti, lo stile indebitato con modelli migliori. Così che il risultato è allo stesso tempo pretenzioso e routinario.
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