Jack e Sally sono una coppia di studenti americani a Roma, in attesa dell'amica di lei, Monica, un'attrice in erba con la fama della seduttrice seriale. John è un famoso architetto, di ritorno nella città eterna dopo trent'anni, che rivede in Jack se stesso da ragazzo e tenta inutilmente di metterlo in guardia rispetto a Monica. Anche Hayley è giovane e americana: innamoratasi di Michelangelo, figlio di un impresario di pompe funebri, convoca i propri genitori in Italia per far conoscere le famiglie. Insieme al padre regista d'opera in pensione e alla madre strizzacevelli, arriva a Roma anche una coppietta di Pordenone che finirà separata per un giorno da un turbine di equivoci. Ultimo è Leopoldo Pisanello, che diverrà per qualche tempo il primo, per la girandola della ribalta, il capriccio di una fama che è pura illusione e come viene se ne va. Vorrebbe, forse, essere un film felliniano, To Rome with love , ma è soprattutto un film stanco. Allen finge di avere in mente Lo Sceicco Bianco o i quadri eterogenei, chiassosi e umilianti di “Roma”, ma in verità non fa che citarsi addosso, senza trovare idee nuove e persino senza approfondire le vecchie, senza investire in alcun modo nell'impresa, quasi fagocitato dalle sabbie mobili dei topoi narrativi più facili – il vigile urbano che apre e chiude il decamerone di storielle morali, le donne baffute in veste da casa, la star della tivù che lusinga la ragazzina di provincia -, proprio lui che è sempre fuggito da qualsiasi clichés non fosse di sua invenzione. Si vorrebbe credere, allora, che guardi volontariamente ad un cinema del passato, come ha fatto altrove, come ad un rifugio nostalgico, ma è presto chiaro che così non è, al contrario: dal “fantasma” di Alec Baldwin alla nevrosi istrionica di Ellen Page, sono pezzi delle sue stesse opere che qui ritornano senza ossigeno vitale, come rovine di un'età ispirata ma antica (con tutto che questo episodio “americano” è forse il più riuscito, nel suo essere un classico del repertorio del regista, affidato ad un trio di giovani). Certo il colpo d'occhio dello straniero sui costumi della capitale è da maestro di sintesi e cinismo, tutti gesticolano, spuntano i nani e le ballerine, realtà e finzione si confondono come nei Pagliacci - il cui allestimento ironico rappresenta l'unica trovata geniale del film - ma il resto è irrimediabilmente sciatto, abbozzato, per lo meno di seconda mano. Mai così povero, pur nell'abbondanza di personaggi e situazioni. Quando Benigni si cala i pantaloni, per dirla con Leoncavallo: “la commedia è finita”, il delitto è compiuto.
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