mercoledì 15 giugno 2011

Dylan Dog (2011)

TRAMA
Deciso a lasciare mostri e non morti al loro mondo, l’indagatore dell’incubo Dylan Dog viene richiamato suo malgrado in servizio dalla bionda Elizabeth, per far luce sulla misteriosa morte di suo padre. In un primo momento Dylan vorrebbe rifiutare, ma l’assassinio del suo assistente e migliore amico Marcus ad opera dello stesso feroce killer lo costringe ad accettare. Con l’aiuto di Elizabeth e di Marcus, tornato in “vita” sotto forma di zombie, si affretta dunque per sventare lo scoppio di una faida all’ultimo sangue tra i vampiri del clan di Vargas e i lupi mannari della famiglia del suo vecchio amico Gabriel, che rischia di scatenare letteralmente l’inferno in terra.
Vive in Craven Road, il Dylan Dog di Kevin Munroe, ma non a Londra, bensì nell’americana New Orleans, città di reminescenze vampiresche alla Anne Rice e capitale di quella Louisiana già nota, grazie a True Blood, per la convivenza sulle sue strade di licantropi e vampiri e per lo spaccio illegale del sangue di questi ultimi, più potente di qualsiasi droga sintetica.
Della creatura di Tiziano Sclavi conserva una valigetta impolverata, la divisa storica, il maggiolone cabriolet (però nero) e poco altro; lo spirito originario, che irrorò a suo modo l’italiano Dellamorte Dellamore, qui viene solo preso a pretesto e anche un po’ brutalmente, esattamente come il “cuore” del demone viene strappato dalle mani del personaggio di un tale Sclavi, senza curarsi delle sue deboli rimostranze.
Accantonato sbrigativamente il confronto, dunque, ci si ritrova di fronte a un film essenzialmente rivolto a un pubblico adolescente, che rinuncia alle citazioni di genere di cui si è sempre fatto bello (e non è un modo di dire) il fumetto, e punta tutto sul rapporto tra il protagonista e la sua spalla, Marcus, interpretata con brio da Sam Huntington.
Nonostante sia il frutto di mille riscritture, o forse proprio per questo, la trama non riserva sorprese, al punto che in più occasioni lo spettatore si ritrova ad attendere pazientemente il suo intuibile e previsto svolgimento, e tecnicamente un episodio standard di Buffy è migliore, ma il tono è scanzonato e tutto converge al fine ultimo del protagonismo assoluto di Brandon Routh. I suoi muscoli esagerati e la sua aria da studentello imberbe non giovano all’identificazione con il personaggio di partenza ma, se si dimenticano il titolo del film e l’ispirazione, la sua prova allora non è da buttare: se non altro non sgomita troppo per avere il centro della scena. Astenersi fan.

TRAILER


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