lunedì 30 maggio 2011

The Ward - Il reparto (2011)

TRAMA
1966. Una ragazza grida di paura, nel braccio isolato di un ospedale psichiatrico. L’indomani, un’altra ragazza, Kristen, dopo aver dato fuoco ad una casa colonica tra i boschi, viene catturata dalla polizia locale e portata nello stesso reparto, senza alcun ricordo degli eventi precedenti al rogo. Qui, Kristen incontra quattro coetanee: la seduttrice Sarah, l’infantile Zoey, la creativa Iris e la selvatica Emily, ma viene anche a conoscenza dell’esistenza di Alice, una ragazza sulla cui sorte regna il mistero, il cui fantasma terrorizza i corridoi dell’ospedale e impedisce che chiunque esca vivo dal “reparto”.
Torna John Carpenter, dopo nove anni, e la bella notizia è che torna con entusiasmo prima ancora che con successo. A volte conta più il primo del secondo. Sebbene The Ward non apporti nulla di nuovo alla storia del genere horror, la sua fattura è un piacere per gli occhi e un’efficace calamita dell’attenzione. Carpenter, questa volta, non scrive né musica, ma lavora su una discreta sceneggiatura e su una musica più che adatta. Il suo tocco è esteticamente elegante e simpaticamente ambiguo, oltre che nostalgico, ma senza inutili lamenti, del psico-thriller anni Settanta, inquieto più che inquietante, caldo ed essenziale.
L’autore stesso lo presenta come “un horror della vecchia scuola fatto da un regista della vecchia guardia”, inscenato, aggiungiamo noi, da un talento sempreverde, in grado di tenere alte tensione e curiosità anche su un soggetto facile, per chi è avvezzo, forse, ad un certo punto, persino pronosticabile. Se il finale val bene un dibattito, l’esordio non si contesta e anzi si classifica tra i migliori visti recentemente, insieme all’approdo via mare a Shutter Island, e non a caso i due film continuano in qualche modo a parlarsi, per temi e stilemi, ben oltre l’incipit.
Non c’è una critica sociale o una visione politica in filigrana, ma la follia è legata qui ad un trauma infantile ed è dunque da quella stagione della vita, se danneggiata, che appare impossibile uscire: quando il buio si è impresso così a “fuoco”, la luce della sanità mentale appare una conquista irraggiungibile e il delirio (leggi l’immaginazione) è il luogo più accogliente e rassicurante. Di più non si può dire, se non che l’immaginario visivo che Carpenter mette in scena, tutto declinato al femminile e abilmente atemporale, a freddo si dimostra ancor più potente e resistente di quanto possa apparire di primo acchito.

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