sabato 12 febbraio 2011

Rabbit Hole (2011)

TRAMA
Becca e Howie Corbett sono una delle tante coppie benestanti delle villette residenziali del Queens, anche se da otto mesi le loro vite sono come sospese, congelate nell'elaborazione di un lutto. Da quando il figlio di quattro anni è stato investito da una macchina, i due hanno sviluppato un meccanismo opposto di rimozione. Howie tende semplicemente a obliare l'evento, facendo rivivere ogni sera la presenza del figlio attraverso i filmati del proprio telefonino; Becca cerca invece volontario isolamento, dedicandosi alla cura del giardino, della cucina e alla sistematica eliminazione di tracce e ricordi. In questo limbo che sembra impossibile superare, Howie comincia a legare con una donna conosciuta durante una seduta di terapia di gruppo, mentre Becca decide di aprirsi con il giovane adolescente che era alla guida della macchina quel giorno fatale.
Entrambi esponenti e narratori di quel milieu newyorkese off-Broadway situato a metà fra underground eversivo ed élite intellettuale, John Cameron Mitchell e David Lindsay-Abaire si incontrano in una “tana del coniglio” dove si consuma l'elaborazione del più insopportabile dei lutti. Ad un primo sguardo, niente potrebbe sembrare più distante dai mondi colorati e trasgressivi di Hedwig e Shortbus di questo inaccessibile antro scavato nella quotidianità familiare dal drammaturgo premio Pulitzer. Niente, se sotto questa atmosfera gelida e cerebrale non dimorassero pulsioni in contrasto con le convenzioni del tragico e il sentimentalismo universale.
La “tana” della famiglia Corbett diviene così un doppio luogo perfettamente coerente con i trasgressivi universi carrolliani del regista newyorkese: da una parte mondo alternativo alla falsa ipocrisia e alla finzione programmatica dei meccanismi hollywoodiani; dall'altro, via di fuga per desideri ed espressioni distanti dal moralismo benpensante. Privilegiando per la prima volta l'eleganza formale alla trasgressione colorata e colorita, Mitchell affronta il tema del lutto con uno stile sapientemente in bilico fra rispettosa discrezione ed empia franchezza. La drammaturgia del testo di Lindsay-Abaire viene esplorata in tutta la sua profondità dai due attori protagonisti, il cui allure da Actor's Studio viene messo di fronte tanto a una frenetica macchina da presa da cinéma-vérité che a uno sguardo vitreo e statico, intento a cogliere ogni micro-movimento sui loro volti.
Ai disegni di un fumetto (presenza immancabile in un film di Mitchell, ma questa volta del tutto interni alla storia) spetta invece il compito delicato di mostrare solo l'apertura, il varco, alla felicità desiderata. Se la realtà è un mondo ineluttabile, non è detto che la serenità non si possa comunque sognare al di là del buco, dove vivono tutti i mondi possibili migliori di questo.

TRAILER


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