lunedì 3 gennaio 2011

Tron Legacy (2010)

TRAMA
Nei quasi 30 anni che sono trascorsi dal primo Tron il mondo all'interno dei computer non è cambiato molto. Stesse voci orwelliane che parlano come da altoparlanti impartendo ordini ai programmi, stesso odio per i creativi, quasi stesse moto, stessi intercettatori e medesima passione per i videogiochi in stile Colosseo. Ad essere mutata è la leadership, non c'è più l'MCP ma C.L.U., il programma eletto e ribelle, l'angelo più vicino al Dio creativo Flynn, il quale incaricato di creare un mondo perfetto ha tradito e intrappolato il suo stesso creatore. Ora tocca al figlio di Kevin Flynn tentare di trovare e liberare il padre.
Il Tron del 1982 era un film Disney in tutti i sensi, prodotto divertente per famiglie tutto azione e fantasia. Aveva però anche la caratteristica inusuale di raccontare con rara precisione un mondo che nessuno raccontava, quello caro agli (allora pochi) appassionati di informatica. Sebbene filtrata da molte concessioni che la avvicinavano al fantasy, la storia di Tron metteva in scena piastre madri, sistemi I/O, programmi, codici, sistemi di controllo e via dicendo mantenendo inalterati i loro reali rapporti di forza. I programmi, simili ad umani che credono nei loro creatori come fossero divinità, interagivano con le componenti di un calcolatore seguendo le regole del vero mondo dell'informatica con una precisione tutta geek eguagliata solo dall'altro cult Wargames (oggi citato nella battuta: "L'unico modo di vincere è non giocare").
Questo sequel non batte il medesimo percorso e per questo sicuramente deluderà una parte del pubblico. Al tempo stesso però ne conquisterà sicuramente un'altra, perchè riesce ad andare più in là del primogenito. Tron: Legacy è un film in cui si ridefiniscono definitivamente i rapporti che umano e tecnologico intrattengono nelle narrazioni. Là dove la fantascienza solitamente sancisce la vittoria dello spirito sulla materia, cioè dell'umano sul tecnologico, Tron: Legacy si spinge fino a cercare lo spirituale nel digitale, una possibilità di rinascita tra il religioso e il mistico che ha origine nel cuore della tecnologia stessa.
Una simile fusione arriva finalmente a rappresentare al cinema i mutamenti nel modo in cui la società ha cominciato a vivere la tecnologia nell'ultimo decennio: non più una dimensione a sè, lontana e contrapposta a quella umanistica, ma un universo di possibilità in grado di comprenderla ed esaltarla. La nuova culla dell'animismo e dello spiritualismo è proprio là dove pensavamo non potesse esserci spazio per essa. Ora che è alla portata di tutti la tecnologia non è più un temuto nemico ma comprende in sè la minaccia e la soluzione, è sia bene che male.
Ma oltre ad un passo avanti nell'evoluzione del genere, Tron: Legacy è soprattutto un'opera di visione ed ascolto. Dopo una prima parte molto attenta alla sua missione di sequel, colma di riferimenti, citazioni e omaggi all'originale, il film comincia a deviare dal percorso della nostalgia aggiornata per perseguire quella che sembra la sua vera vocazione: creare un universo di immagini e suoni il cui senso e la cui potenza comunicativa vada al di là della storia raccontata.
È qualcosa che abbiamo già visto accadere, un regista proveniente dalla pubblicità (dunque più abile con le immagini che con le parole) che realizza un film di fantascienza appoggiandosi molto su un design fuori dal comune, su una fotografia e soprattutto suoni e musiche elettroniche in grado di evocare scenari distopici. I Daft Punk al pari dei designer sono infatti stati più che semplici consulenti. I primi, oltre al costante e bellissimo sottofondo musicale, hanno lavorato anche ai suoni del film mentre i secondi hanno pianificato gli immensi scenari digitali assieme al regista.
Il risultato è un'esperienza immersiva che fonde video stereoscopico e audio con un potere evocativo, straniante e suggestivo anche superiore a quello di Avatar. Senza il semplicismo manicheo e gli eccessi stereoscopici del film di Cameron (il 3D arriva solo ad un certo punto, quando si cambia mondo, come accade con il colore in Il mago di Oz) ma con un occhio più attento alla creazione di un ambiente degno della miglior distopia fantascientifica, il film dell'esordiente Joseph Kosinski è un lungo viaggio audiovisuale, magari dalla trama non proprio semplice da seguire (tra gli sceneggiatori ci sono anche alcuni appartenenti al team di Lost), ma in grado di assolvere in pieno alla funzione del cinema: comunicare audiovisivamente ciò che è inesprimibile a parole.

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