Tre ragazze e due ragazzi, divisi in coppie e per tipologie umane (i fratelli con problemi, la fidanzatina, la pragmatica, il professore) si recano in una casa nel bosco per il weekend. L'intenzione è di aiutare una di loro a chiudere con la droga, passando con lei i primi giorni di astinenza.
Ed è proprio la più fragile la prima ad essere posseduta da un demone evocato dalla lettura di alcune pagine di un volume ritrovato negli scantinati. Spaventata da quanto sta accadendo la ragazza chiede aiuto agli altri i quali, scambiando il delirio per crisi d'astinenza, rifiutano di lasciare il posto, almeno fino a che non cominciano a susseguirsi orrende possessioni e mutilazioni autoinferte.
Ambientato 30 anni dopo ma mai davvero sequel, né reboot al 100%, La casa nella versione dell'uruguaiano Fede Alvarez (prodotto, voluto e supervisionato sia da Sam Raimi che da Bruce Campbell) non si cura di regole e definizioni, non teme di non essere precisamente collocabile nella mitologia originale e invece, con un rigore impressionante, va dritto al punto: fare un film di demoni.
Sono anni che il cinema ride, scherza, parodia, cita, rimastica, innova, porta avanti e piega il genere in questione, e già Raimi nei primi 2 film (per non dire nel terzo) alla fedeltà ai canoni affiancava un umorismo all'epoca non consueto. Alvarez invece no, sceglie la strada della serietà assoluta, con tutti i rischi che questa comporta (specie dopo che la medesima storia è stata definitivamente destrutturata da Quella casa nel bosco) e riesce nell'impresa più improbabile di tutte: girare uno dei miglior film demoniaci di sempre.
Seguendo tutte le regole e variando pochissimo dal calco originale a livello di storia (se non nel finale) il nuovo La casa è un film durissimo, senza appello e senza redenzione, un film dalla schiena dritta che non teme un classico sottofondo moralista (l'agonia, i dolori e la passione dei 5 possono facilmente essere letti come l'allegoria dell'espiazione della dipendenza dalla droga) e riesce nel finale a dare vita ad una delle rappresentazioni più credibili e carnali dell'inferno arrivato sulla Terra. Un nuovo standard con cui il resto del cinema in materia non potrà fare a meno di confrontarsi.
Messosi in luce grazie a "Ataque de Pànico!", un corto a budget ridicolo e riuscita spettacolare messo direttamente su YouTube, Alvarez ha avuto accesso al sistema hollywoodiano e dimostra di meritarlo, padroneggiando tutti gli aspetti della tecnica filmica come un veterano, ma anche eccellendo nelle piccole e grandi invenzioni. Le torture autoinflitte dei posseduti, la cura con la quale gli attori sono diretti nell'infinita gamma di espressioni spaventate che devono assumere, la creatività nel generare immagini violente, masochiste e terrificanti inedite, sono fuori dal comune. Ma soprattutto stupisce la maestria con la quale Alvarez è in grado di gestire e progettare lunghe sequenze di suspense, al pari di piccoli inseguimenti e microframmenti di paura a sé (il gioco finale con la motosega sotto la "pioggia" è da applausi), ben sapendo che questo tipo di film beneficia molto più dagli effetti speciali analogici che da quelli digitali (che invece hanno fatto la fortuna del suo corto online).
Erano decenni che un horror non riusciva a creare così tanto rimanendo rigidamente nei canoni del genere e l'abbandono, da parte del cinema di paura, di citazioni e frivolezze, metariferimenti e strizzate d'occhio ha il sapore della liberazione da una tendenza che ne stava strangolando le potenzialità. La casa è un film che prende una posizione, crede in qualcosa (sebbene con una morale semplice) e si assume le responsabilità dei propri presupposti: rendere credibile e spaventosa la lotta di 5 persone per non finire agli inferi.
Unica eccezione al rigore sono due riferimenti alla trilogia originale: l'uso del punto di vista del demone ad alta velocità, invetata da Raimi, e il binomio mano mozzata/sega a motore che rimanda al terzo film.
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