TRAMA
Quasi diciottenne, Heather Mason affronta il primo giorno di scuola nell'ennesima città, ben sapendo che presto dovrà andarsene di nuovo. Da anni in fuga col padre Harry, la ragazza altri non è che Sharon, la bambina sonnambula del primo Silent Hill; nonostante la nuova identità, il legame con quel mondo da incubo, che continua a reclamarla a sé, persiste attraverso incubi insolitamente realistici. In seguito al rapimento di Harry da parte dell'Ordine di Valtiel, setta religiosa che domina nella spaventosa cittadina, Heather decide di tornare proprio nel luogo in cui tutto ha avuto inizio per chiudere i conti con la parte più oscura di sé.
Ispirato al terzo capitolo della serie di videogiochi creata dalla Konami, il film diretto da Michael J. Bassett ha quella fisionomia sfocata, propria di altri esperimenti assimilabili, che il Silent Hill di Christophe Gans riusciva ad aggirare alla grande: maggiormente vicino ad un'esperienza videoludica che cinematografica, procede nella maniera più prevedibile immaginabile tra personaggi privi di spessore e dialoghi incapaci di aggiungere ulteriore significato alle immagini.
Dopo una prima parte in cui lo spaesamento di Heather, tra un reale vuoto e un fantastico che combacia con le tenebre, sembra promettere buoni sviluppi, il twist del rapimento di Harry (uno Sean Bean alquanto distratto) innesca un'infinita sequela di déjà-vu aggravata dalla scelta di seguire dappresso la sinossi del videogame così come di utilizzare un linguaggio filmico che male si amalgama alla straordinarietà degli ambienti-cornice.
Altre volte a suo agio con il fantastico, è il caso del sottovalutato Solomon Kane, Bassett non riesce a sfruttare le possibilità offerte da un apparato figurativo che pur senza eccezionali originalità avrebbe potuto riservare alcune sorprese; con l'eccezione delle sequenze in cui compare il personaggio di Testa a Piramide, difatti, la messa in scena spreca colori e invenzioni - si pensi al ragno formato da varie parti di diversi manichini - nella smania del rimando all'universo di origine, dimenticando però la costruzione di una cifra cinematografica autonoma.
Sotto alle implicazioni di genere, la ricerca di un'identità, la difficoltà della crescita e l'importanza di assumersi le proprie responsabilità sono le basi su cui posa un racconto che, anche per l'eterogeneo cast coinvolto, avrebbe meritato altro sviluppo. Sbandierato fin dal titolo, anche l'effetto 3D è al di sotto delle possibilità di impiego.
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