TRAMA
Il volgare e ignorante deputato Cam Brady è sicuro che otterrà l'ennesima conferma del suo mandato, nonostante una gaffe irrimediabile, ma non ha fatto i conti con lo strapotere del capitale. I miliardari fratelli Motch, infatti, decisi ad arricchirsi vendendo mezza Carolina del Nord ai cinesi, hanno bisogno di un burattino meno compromesso di Brady da inviare a Washington perché faccia il loro gioco e lo individuano nell'ingenuo Marty Huggins, il figlio idealista di un loro ricco amico. La battaglia tra i due candidati al seggio si tramuta in men che non si dica in una gara spietata a far sfigurare l'avversario nel peggior modo possibile. E più i colpi inferti sono bassi, più aumenta il gradimento nei sondaggi del candidato a cui è riuscito il tiro meschino. Un massacro pubblico che investe immancabilmente la sfera privata dei due protagonisti.
Il limite enorme di un film come Candidato a sorpresa è che lo si guarda da cima a fondo con la netta sensazione di averlo già visto più di una volta. Il che conferisce al titolo italiano una sfumatura beffarda, ma non per questo controproducente. Forse non lo abbiamo già visto al cinema (il confronto con Mr Smith va a Washington è quasi blasfemo), di certo lo vediamo tutti i giorni, tra carta stampata, web e tv. Lo vediamo nella realtà e si sa che in nessun altro frangente la realtà supera e anticipa la fantasia come quando si tratta di satira politica. Eppure, ci divertiamo, sbottiamo a ridere, mostriamo di gradire, appunto. È stato così con Qualunquemente e la politica nostrana, alla cui pacchianeria si stenterebbe a credere se non fosse autentica, ed è così con The Campaign, vicenda a stelle a strisce, ma più vicina che mai. Quali meccanismi psicologici ci portino a tutto questo non è facile a dirsi. Forse un bisogno di catarsi, nel senso aristotelico dell'esorcizzazione e della purificazione di massa. Ecco allora che, in quest'ottica, la parabola narrativa moraleggiante che fa incrociare le strade dell'irresponsabile e del brav'uomo, mescola un po' le carte ma poi torna nei ranghi del "giusto", è il contenitore ideale, semplicistico ma efficace, per permetterci di ridacchiare senza scrupoli delle malefatte del viscido Will Ferrell (niente male il pugno al neonato...) e delle contromosse del panzone Zach Galifianakis (il personaggio più bello del film, con il suo portato americanissimo di passione "local"). Si ride a cuor leggero, perché queste cose nella realtà non avvengono: nulla torna davvero a posto.
Jay Roach è il regista di Austin Powers e Mi presenti i tuoi? e dunque di dispetti, tranelli e pessime figure ne sa qualcosa più di altri, ma è anche il regista dei film tv Recount sulle presidenziali del 2000 e Game Change su quelle del 2008 e nel finale di Candidato a sorpresa un brividino di serietà trapela. E congela.
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