lunedì 10 settembre 2012

Baby call (2012)

TRAMA
Anna vive al buio, nel silenzio di un appartamento, ai piani alti di un palazzone di periferia. Adora suo figlio Anders di otto anni, lo protegge al punto da preferire l'insonnia per poterlo sorvegliare durante la notte – anche attraverso un babycall acquistato di recente. Il suo comportamento ossessivo non è solo la logica conseguenza dell'amore smisurato di una madre per il figlio; dietro alla sua esagerata preoccupazione si nasconde la paura di essere vittima, ancora una volta, dell'ex compagno violento. A poco a poco però le sue abitudini cominciano a diventare sempre più ossessive, comincia a sentire delle interferenze inquietanti al suo babycall, sospetta dei vicini di casa e la realtà si confonde con l'immaginazione. Solo l'incontro con Helge, timido commesso in un negozio di elettrodomestici, potrebbe rappresentare l'occasione del riscatto. Dopo aver interpretato la cyber punk Lisbeth nella trilogia di Larsson, l'attrice Noomi Rapace porta con sé un'aura di inquietudine. Il suo personaggio, smanioso di controllare tutto, non sorride mai, vive nell'ombra e si dedica costantemente a salvaguardare un apparente equilibrio mentale, ormai reso troppo precario da un passato di violenze e soprusi. Pål Sletaune sembra aver scelto la Rapace che, per questo ruolo ha vinto il premio come miglior attrice al Festival Internazionale del Film di Roma 2011, proprio perché la sua filmografia è connotata da numerosi ruoli che la vedono come eroina costretta a sopravvivere al buio per poter rimuovere gli inganni del passato (accadeva anche in Beyond di Pernilla August). La presenza della Rapace rende così il film credibile e convincente, anche se la vicenda, mano a mano che il film prende corpo, perde la forza narrativa delle prime sequenze iniziali. Sono svariati i temi che ruotano attorno alla figura vulnerabile della protagonista: la violenza infantile, l'ansia del controllo, la mancanza di fiducia verso il prossimo, intesa come patologia sociale. Mentre Anna cerca di vivere un'esistenza ‘normale', tutto ciò che la circonda sembra far parte di un piano per dirle di stare attenta, di agire con cautela per trattenere gli slanci vitali. La sceneggiatura riesce a mantenere un buon ritmo, grazie anche ad un'equilibrata alternanza di chiaro e scuro che supporta i momenti di tensione (con il nero delle immagini notturne, illuminate da fugaci sprizzi di luce) e fa salire la tensione al punto da disorientare anche lo spettatore più attento. Babycall intrattiene e tocca, senza però andare molto in profondità, alcune tematiche difficili da rendere sul grande schermo; riesce così ad essere allo stesso tempo, un buon thriller e una rappresentazione del grigiore sociale di molte periferie metropolitane.

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