martedì 7 febbraio 2012

Millennium - Uomini che odiano le donne (2012)

TRAMA
Mikael Blomkvist è un giornalista celebre per il suo impegno e per una condanna di diffamazione, collezionata dopo aver attentato alla reputazione di un infido uomo d'affari. La sua scrupolosità zelante e il suo recente rovescio gli attirano le simpatie di Henrik Vanger, potente industriale svedese che da quarant'anni cerca la verità e il corpo della giovane nipote, probabilmente assassinata da un membro della sua numerosa e disturbata famiglia. Lasciata Stoccolma alla volta di Hedestad, una cittadina battuta dal vento e assediata dall'inverno, Mikael si avvale della collaborazione di Lisbeth Salander, agente investigativo intuitiva e hacker virtuosa con un passato abusato e un presente intimidito. Selvatica e bellicosa Lisbeth è attratta dalla riservatezza e dall'integrità di Mikael, che seduce, corteggia e prova a innamorare. Fuori dal letto e dalla loro intesa intanto i fantasmi del passato si risvegliano e provano a ostacolarne l'indagine e a minacciarne la vita.
Più affine alla letteratura gialla di Friedrich Dürrenmatt che ai romanzi giallosvezia di Stieg Larsson, il Millennium di David Fincher produce arte là dove nessuno se lo aspetta e avvia un'indagine più importante della soluzione. 'Colpevole' degli esiti più felici e rilevanti del genere delittuoso e seriale (Seven e Zodiac), Fincher realizza una versione autoriale del primo episodio di "Millennium", trilogia poliziesca già adattata per lo schermo da registi ordinari e scandinavi. Introdotto da "Immigrant Song" dei Led Zeppelin (nella cover di Karen O., Trent Reznor e Atticus Ross) e 'terminato' da "Orinoco Flow" di Enya, Millennium ribadisce l'ossessione del regista per il delitto e la decodificazione. Sotto il segno del male e dentro baratri esistenziali, invariabilmente lastricati da sangue, lividi e ferite, il suo thriller nero rifiuta come il Vanger di Christopher Plummer lo sguardo superficiale. Per questa ragione il patriarca al tramonto assolda Mikael e Lisbeth, diversamente motivati ma incarnazioni ugualmente silenti e laboriose dell'individuo che respinge il sistema chiuso e omertoso in cui è costretto a muoversi e contro il quale mette in piedi ipotesi e intuizioni.
Altrimenti da Oplev e da Alfredson, l'autore americano esce dai confini 'nazionali', dal paese dei Nobel, dal benessere scandinavo e dai suoi rovesci sociali, per abitare un'inquietudine indeterminata e assumere uno sguardo astratto sul disagio dello stare assieme. A dirla tutta il romanzo di Larsson prima di essere adattamento si adatta alla poetica fincheriana, che riguarda da sempre la morale individuale e la patologica condizione di smarrimento interiore dell'individuo nella società contemporanea. Millennium secondo Fincher innalza la temperatura interpretativa e chiarisce una volta per tutte che l'adattamento non è una traduzione (fedele) ma un'interpretazione, o perlomeno ne implica una. In questo senso la trasposizione dell'autore è qualcosa di diverso dal romanzo di origine, una riscrittura che scava più in profondità, producendo valore aggiunto, illuminando Larsson e concedendo un'ulteriore chance al suo romanzo.
A muovere la situazione di impasse apparente, accumulando dettagli utili a edificare una costruzione indiziaria e contro un conclamato fraintendimento del reale e delle evidenze, ci pensano la Lisbeth diafana e disperatamente vitale di Rooney Mara e il giornalista assediato e depotenziato di Daniel Craig, crepe luminose che lottano per dare visibilità a esistenze e corpi inghiottiti dal nulla, ricercatori (in)sani che indagano con fiducia nella verità dentro l'impenetrabilità dello spazio domestico. E l'iniziazione alla verità nel cinema di Fincher avviene sempre in un 'mondo parallelo'. Agli scenari allestiti dal serial killer mistico di Seven, ai club notturni e alle cantine sporche di Fight Club succede la Hedestad immaginaria di Larsson, un territorio ‘raffreddato', un luogo mentale che disprezza il presente (e lo stile Ikea), che esala vapori densi e l'odore cattivo degli spurghi dell'anima. Aperto alle innovazioni tecniche e sperimentatore indefesso di soluzioni visive potentemente funzionali al racconto (nel modo dei titoli di testa), Fincher riapre il caso 'Larsson' e fa giustizia.

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