sabato 24 settembre 2011

L'alba del pianeta delle scimmie (2011)

TRAMA
Nei laboratori di un'azienda farmaceutica di San Francisco, il giovane ricercatore Will Rodman sperimenta su degli scimpanzé gli effetti di un virus in grado di potenziare i ricettori neuronali e di fornire una possibile cura per l'Alzheimer. Una di queste cavie mostra lo sviluppo di un'intelligenza superiore alla media, ma viene abbattuta assieme alle altre dichiarando fallito l'esperimento quando risponde con aggressività ai tentativi dei medici di sottoporla a nuovi test. Lascia tuttavia nei laboratori un piccolo cucciolo, che Will decide di risparmiare alla soppressione e di accogliere in casa propria. Il tempo passa e dopo qualche anno lo scimpanzé, soprannominato Cesare, dimostra delle straordinarie capacità cognitive, imparando in fretta il linguaggio dei segni e raddoppiando il proprio quoziente intellettivo anno dopo anno. Ma con il suo cervello, cresce anche il bisogno di relazionarsi con un ambiente libero e con una specie all'altezza che non lo tratti da bestia o da mostro.
“L'evoluzione diviene rivoluzione” recita la tagline americana del film. Aforisma perfetto per raccontare questo prequel-reboot espiantato direttamente dal lontano Pianeta delle scimmie datato 1968 per dimenticare l'esperimento dark-autoriale del remake di Tim Burton. Perché il film di Rupert Wyatt - regista britannico con alle spalle un solo, eccellente prison movie (The Escapist) - si racconta esattamente attraverso questi due movimenti. Una prima parte in cui si descrive l'Evoluzione della scimmia e si riscrive Frankenstein attraverso un moderno Prometeo alla ricerca di una cura per l'Alzheimer; e una seconda parte in cui la diversità e la sindrome del mostro vissute dalla Creatura-Scimpanzé creano i presupposti per un'insurrezione degna di Spartacus e una tensione a metà fra Gli uccelli di Hitchcock e i film di Shyamalan.
È all'interno di questi due momenti narrativi che si modella anche il progetto di questo nuovo capitolo: una dialettica schiavo-padrone in cui il film gioca a far finta di essere “schiavo” della saga originale e dei cliché del cinema di genere per poi mostrarsi perfettamente padrone degli eventi e della messa in scena. Wyatt punta fin dall'inizio a una pura esaltazione dell'occhio, a un'accensione della pupilla simile a quella che colpisce i primati-cavie del film realizzata con tutti i mezzi a disposizione dell'estetica contemporanea: soggettive della scimmia, movimenti immersivi, performance capture d'avanguardia, contaminazioni fra generi diversi.
Continui omaggi, rimandi e citazioni alla serie originale che tuttavia non costituiscono mai nostalgiche strizzatine d'occhio, quanto agganci per stupire e muoversi verso altre direzioni. Da questa ibridazione fra tragedia classica e romanzo gotico, fantascienza anni Settanta e horror da drive-in, il regista britannico dà vita a un dinamismo visivo che gli permette di muoversi in sintonia più con l'agilità di una scimmia ribelle che con quella di un giovane scienziato con troppi sogni. Tanto che è esattamente nel passaggio fra i due atti che si realizza la svolta del film: una “rivoluzione” del punto di vista che rovescia il posto dei buoni e dei cattivi rispetto alla saga originale. Grazie alle libertà di movimento e di antropomorfismo concesse dalla cultura digitale, L'alba abbandona presto i problemi scientifico-familiari del personaggio di James Franco per accentrarsi totalmente sull'insurrezione “animata” dal Cesare di Andy Serkis.
Si capisce ben presto che è lui il vero protagonista del film. Quello con cui simpatizzare, quello con cui entrare in empatia, il vero divo che merita un'indimenticabile posa da duro rimanendo in piedi sul tetto di un filobus di fronte alla Baia di San Francisco.
In questo rovesciamento, sia ben chiaro, non c'è da leggere un progetto politico, una militanza animalista o un messaggio tecnofobico. Non è un caso che i primati si fermino sempre un attimo prima di colpire gli umani e di far schizzare il sangue sulla macchina da presa. Perché quel che è in palio non è la critica sociale ma il mondo del blockbuster: l'idea stessa di poter raccontare le origini, i cominciamenti, i vari “begins” e le differenti albe delle varie saghe guardando indietro ma puntando al presente. Può sembrare poco, ma dietro ogni piccola rivoluzione del blockbuster da sabato sera c'è una grande evoluzione.

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