TRAMA
Tre ragazze giungono con una macchina d'epoca nel bel mezzo del deserto alla ricerca di un bottino di diamanti sepolto vicino a una roulotte. Queste sono Trixie, una spogliarellista ingenua e sensibile, Camero, una spietata killer che fa il corriere della droga, e Hel, un'importante donna d'affari. Nel bagagliaio della loro Ford Thunderbird hanno incastrato Gage, il pericoloso trafficante che ha sottratto i diamanti e quindi l'unico che conosca il punto esatto dove scavare. Andando progressivamente a ritroso nel tempo, emergono molti dettagli sul passato delle tre ragazze e sulla misteriosa figura di un vendicatore spietato e sconosciuto: Mr. Pinky.
In principio fu Russ Meyer, regista indipendente che fece dei principi del femminismo un ring su cui far lottare maggiorate truccatissime dai vestiti succinti capaci di maneggiare armi e sferrare colpi come fino a poco tempo prima era concesso solo a un uomo. Poi vennero, nel tempo, le eroine disinibite e giustiziere dei b-movies, le conigliette languide e gentili dei video di Playboy e, infine, le vendicatrici sagge e poliedriche del cinema edotto di Tarantino (come la Sposa di Kill Bill o la Shosanna di Bastardi senza gloria).
Con Bitch Slap, Rick Jacobson condensa la storia degli exploitation films a partire dal significato stesso del verbo inglese “to exploit”, ovvero sfruttando e beneficiando di tutte le peculiari caratteristiche estetiche e tematiche dell'immaginario “stracult” dell'ultimo mezzo secolo. La sua personale “Operazione Grindhouse” è quindi più un calco “maggiorato” che un semplice omaggio, un milkshake in cui viene frullato tutto quanto ha reso popolare prima e nobilitato poi l'arte del sottogenere. In questo senso, Bitch Slap è un campionario di momenti e situazioni topiche del cosiddetto guilty pleasure, il piacere visivo legato ai b-movies: nello spazio di una macchia desertica, tre belle donne, ognuna vicina a un preciso immaginario erotico (la spogliarellista caritatevole, la virago indomabile e selvaggia e la donna-manager di potere), combattono a mani nude o brandendo enormi mitragliatrici, si baciano appassionatamente, giocano coi secchi d'acqua, trovano scuse e motivi per strapparsi i vestiti di dosso e mostrare vizi e virtù dei loro corpi.
In questo coacervo fumettistico di immagini più satinate che ruvide, più vicino a un certo erotismo patinato che a un'idea di trasgressione o di liberazione della violenza, Jacobson non compie né un rovesciamento radicale (lo stile Tarantino, che proprio nei suoi tributi all'exploitation, Jackie Brown e Death Proof, aveva dilatato l'azione e ritardato la violenza fino al suo annullamento), né un salto iperbolico (lo stile Rodriguez, che gioca sull'effetto sorpresa e sull'esaltazione continua del parossismo). Al contrario, il regista mostra la sua formazione maturata con i telefilm epic-trash di Sam Raimi come Hercules o Xena, giocando a ribasso tanto nell'estetica (un trionfo di split screen, chroma key e ralenti), quanto nella narrazione (un percorso a ritroso in stile Memento che diviene presto estenuante). Laddove mostra una certa inventiva è invece nel linguaggio, attraverso un vero e proprio florilegio di battute e insulti per l'era post-femminista. Ma per quanto trivialmente creativa, un pugno di frasi fatte ben assestate non può redimere un'estetica integralmente “rifatta”.
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