lunedì 31 gennaio 2011

The Green Hornet (2011)

TRAMA
Erede di una potente famiglia a capo di uno dei giornali più importanti della città, lasciato orfano dalla madre quando era piccolo e di nuovo alle prese con il lutto paterno in età adulta, Britt Reid è di colpo costretto a fare qualcosa della sua vita, dopo aver vissuto a lungo di baldorie inconcludenti. Grazie all'aiuto di Kato, un suo coetaneo talentuoso e tremendamente inventivo che il padre sottoutilizzava come meccanico, si trasformerà in il Calabrone Verde ("Bel nome! Ma in inglese ha più stile: Green Hornet!" gli fa pronunciare il doppiaggio italiano per giustificare il cambio di lingua), un giustiziere che si finge criminale per combattere meglio il crimine. Nonostante non sia capace di nulla e lasci fare tutto a Kato, lo stesso Reid riuscirà a infastidire il boss più boss di tutti della malavita cittadina e smascherare un complotto a cui suo padre aveva preso parte, utile a favorire la rielezione del procuratore distrettuale.
Prima o poi doveva succedere. A furia di commissionare film grossi e commerciali a quelli che una volta sarebbero stati considerati autori personali e vicini al cinema indipendente, qualcosa di strano è capitato. La versione di Michel Gondry di Green Hornet infatti è senza dubbio il film di più difficile classificazione dell'anno. Frutto dell'incontro tra la volontà e la visione di cinema dell'autore francese, la scrittura e le prerogative di Seth Rogen (e di tutto il tipo di commedia che rappresenta) e le intenzioni commerciali della Sony Columbia, il primo adattamento cinematografico delle avventure del Calabrone Verde è un pastrocchio talmente pieno di caratteristiche provenienti da generi diversi da risultare inclassificabile, eppure misteriosamente godibile.
Dopo averlo visto toccare gran parte dei toni e delle modalità produttive dell'audiovisivo (dal videoclip alla pubblicità, dall'analogico al digitale, dalla commedia al drammatico, dall'indipendente al grosso budget, dal personale al commissionato) possiamo dire con cognizione di causa quello che era intuibile già 10 anni fa, ovvero che Michel Gondry è l'unico cineasta contemporaneo ad aver veramente compreso come far convivere l'anima analogica del cinema con le nuove possibilità e spinte digitali. Il suo linguaggio espone il trucco analogico nel suo farsi artigianale trasformandolo in elemento della messa in scena per un ulteriore il piacere dello spettatore, nel frattempo come un vero illusionista fa accadere il vero trucco da un'altra parte con l'invisibilità garantita dal digitale. Da questa dialettica tra esposizione e occultamento scaturisce tutto il movimento e il dinamismo della messa in scena dei film di Gondry, nonchè tutto il senso di un cinema che applica alle persone e alle storie uno sguardo voglioso di immagini nuove e diverse.
Che Gondry fosse un mirabile manipolatore di illusioni ottiche però lo sapevamo già, come del resto già avevamo intuito la sua capacità di raccontare storie complesse. Quello a cui invece siamo ora messi di fronte è quanto sia in grado di mischiare e dosare toni e ritmi diversi, trasformando l'eterogeneità in omogeneità. Le intemperanze infantili da commedia demenziale tipiche dello "stile Judd Apatow" che Rogen porta con sè, le forti esigenze di azione, la scansione e il ritmo tipico del film d'azione, il racconto di stile fumettistico (le origini del personaggio e della sua nemesi) e ancora la sperimentazione visiva sono solo alcune componenti di un film che a tratti somiglia ad un blockbuster, ad altri una commedia.
Alla sua prima esperienza di pura commissione Michel Gondry realizza un film che ha quasi più punti in comune con una parodia che con il proprio genere, a partire dalla messa in discussione delle consuete dinamiche di potere nella coppia eroe/spalla. Nel suo Calabrone Verde, benchè il protagonista rimanga Britt Reid, è Kato l'unico vero eroe (in più di un momento egli stesso sembra chiedersi come mai non agisca da solo), i costumi sono un supporto ridicolo, i cattivi cercano di operare con goffagine il passo da criminale a supercriminale e ogni momento topico della vita di un supereroe diventa una burla. Eppure allo stesso tempo Green hornet riesce ad inserirsi in quella riflessione più alta sul ruolo dell'eroe (e per traslato del bene) quale molla in grado di generare la comparsa di una nemesi uguale e contraria, già iniziata da Il cavaliere oscuro e mutuata da quel percorso evolutivo che negli ultimi 20 anni il fumetto ha compiuto riflettendo sul proprio senso.

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