lunedì 6 dicembre 2010

L'ultimo esorcismo (2010)

TRAMA
Baton Rouge. Il reverendo Cotton Marcus, che appartiene a una famiglia di ministri del culto da quattro generazioni, ha una crisi di fede che viene ben occultata dai suoi sermoni sempre coinvolgenti e ricchi di trovate. Chiamato un giorno per un esorcismo nel cuore della Louisiana porta con sé una mini troupe (cameraman e tecnico del suono) per provare che i cosiddetti posseduti non sono in realtà altro che malati bisognosi di cure psichiatriche. Aggiunge anche alcuni trucchi che dovrebbero servire a suggestionare la giovanissima Nell. La sua situazione familiare non è delle migliori. Il padre beve e la situazione, come afferma il fratello, è precipitata dopo la morte della madre.
Dai tempi di Blair Witch Project ne sono passati di anni così come si sono succeduti falsi documentari miranti a ricreare situazioni in cui le presenze occulte e/o demoniache mettessero in scena le loro manifestazioni grazie a uno stile di ripresa convulso e spesso privo di regole. È quanto accade in questo film che risulta al contempo interessante e scontato. Interessante perché l'assunto iniziale è quello di intervenire con la razionalità laddove il cinema ha sempre spinto sull'acceleratore delle reazioni più viscerali. Lo stesso paesaggio diviene parte della narrazione accentuando la minaccia con il suo degrado ambientale mentre il ministro del culto si è prefisso il compito di vanificarne la portata riducendo il tutto a un caso clinico. Ciò che invece vi è di scontato sta nella scrittura del film, sia sul piano visivo che su quello di sceneggiatura. Perché viene da chiedersi per quale motivo in questo filone narrativo le troupe all'opera debbano nella maggior parte dei casi effettuare riprese sfocate, in controluce, mosse, buie, quasi che per convenzione il professionismo fosse stato bandito dalla loro agenda. I giovani protagonisti del film capostipite potevano permetterselo. Chi è venuto dopo un po' meno perché l'aderenza a questo stile codificato fa perdere in verosimiglianza. Così come più di un dubbio lasciano alcune sequenze in cui le telecamere risultano essere palesemente due mentre la convenzione narrativa ne vorrebbe in azione solamente una. Aggiungiamo poi che la sceneggiatura nel finale (di cui rigorosamente taceremo) si fa prendere la mano sprecando ciò che era stato costruito fino a quel punto grazie anche alla credibilità degli attori su cui spicca l'innocenza turbata dell'adolescente Ashley Bell.

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