TRAMA
M. Night Shyamalan ha legato il suo nome a horror tetri e pessimistici, conclusi da efficacissimi colpi di scena sovvertitori di quanto si era visto prima (The Sixth Sense - Il sesto senso, The Unbreakable- Il predestinato). Come regista è passato, con alterno successo, ad altre cose, ma questo film a modesto budget, nel quale è “solo” produttore e autore del soggetto, sembra rifarsi alla lezione dei suoi horror. Lo dirige, con spirito di servizio e adesione alla causa, John Erick Dowdle, già autore di Quarantena, il remake copia carbone di Rec - La paura in diretta. La trama presenta una situazione relativamente inedita e claustrofobica.
Una persona si suicida gettandosi da un grattacielo e finendo sul tetto di un camion. Nelle sue mani, un rosario. Il detective Bowden - la cui vita è stata devastata dalla morte della moglie e del figlio a opera di un pirata della strada - è chiamato a investigare. Nel grattacielo in questione, cinque persone salgono su uno degli ascensori. Si tratta di un eterogeneo gruppo: l’addetto alla sicurezza Ben, un’anziana cleptomane, il venditore di materassi Vince, l’ereditiera attaccata ai soldi Sarah e l’ex militare in cerca di lavoro Tony. L’ascensore si blocca. Sembra solo un inconveniente tecnico, ma, dato che la situazione non si risolve nonostante i colloqui con l’assistenza, ben presto l’inquietudine comincia a serpeggiare e nasce tra le persone intrappolate l’incredibile sospetto che tra loro ci sia qualcuno che non è quello che dice di essere. Non è solo paranoia: infatti, a una momentanea interruzione dell’illuminazione, Sarah viene ferita alla schiena. Ed è solo l’inizio. Uno degli addetti pensa che tra gli intrappolati si nasconda il diavolo in persona. Bowden prende in mano la situazione, ma non sa cosa ha di fronte.
Sin dalle prime immagini aeree della città vista sottosopra è chiara l’allusione al demonio e al suo ordine rovesciato. L’atmosfera è cupa. I grattacieli - moderni monoliti della religione capitalistica - sono inquadrati come se avessero una malata sacralità. Ma gran parte del film si svolge all’interno dell’ascensore in un tour de force registico che avrebbe richiesto maggiore personalità. Così com’è, ha spesso i contorni di uno psicodramma teatrale alla cui schematicità non è estranea la programmatica e simbolica diversità delle persone coinvolte. Il tono è quello di un film noir deviato, con la percezione di un destino avverso a dominare le sorti degli uomini, ma l’ibridazione con l’horror sortisce effetti curiosi e a tratti affascinanti, fatta salva la tara di alcuni dialoghi banali. Uno strisciante senso di minaccia incombente pervade la storia sin dall’inizio e la tensione si costruisce in modo naturale e avvincente.
La plumbea fotografia di Tak Fujimoto e la spettrale colonna sonora di Fernando Velazquez assecondano alla perfezione l’atmosfera. In film come questi - tutti tesi alla costruzione di un mistero - è evidente che il giudizio dipende strettamente dalla qualità del finale. In questo caso la soluzione, pur senza essere travolgente, è sufficientemente a sorpresa e ha il pregio di compiere un’inaspettata quadratura del cerchio sotto il profilo morale. L’aspetto più interessante è infatti quello relativo al ruolo del diavolo, assai diverso dal cliché orrorifico e incastonato in un quadro più ampio dove il Male e il Bene svolgono ciascuno una sua funzione. Il discorso esistenziale ed etico è quindi preminente ed è l’impronta che Shyamalan lascia sul film.
Tra gli attori emerge Chris Messina, che interpreta uno dei prototipi più classici, quello del poliziotto amareggiato dal mondo, ma lo fa con sufficiente abilità da renderlo ancora una volta credibile.
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