TRAMA
Il capitano Colter Stevens, pilota di elicotteri e veterano della guerra in Afghanistan, si risveglia su un treno di pendolari senza avere la minima idea di dove si trovi. Di fronte a lui Christina, una bella ragazza che lo conosce ma che lui non riconosce affatto. In tasca (e nello specchio) l'identità di un giovane insegnante di nome Sean Fentress. Poi l'esplosione, che squarcia il convoglio. Ma Colter non è morto, da un monitor un ufficiale donna lo informa che dovrà tornare sul treno per identificare l'attentatore e prevenire un successivo, più micidiale attacco. Ogni volta che farà ritorno sul treno avrà solo 8 minuti a disposizione. Di più non gli è dato sapere, la missione è top-secret, il suo nome: “Source Code”.
Ciò che più stupisce nel film di Duncan Jones, è che dentro un'idea tanto cerebrale, dentro una messa in forma calcolata al secondo, batta un cuore davvero caldo; e non è (solo) bravura attoriale o suggestione spetattoriale: è il cuore del film, l'anelito alla vita di ciò che resta del capitano Colter Stevens. Vita è conoscenza, conoscenza di sé. Al capitano serve molto più di una chance, molto più di una replica per arrivarci, ed è proprio questa fallibilità, questa necessità di ricominciare da capo (già alla base di altri bei film) a fare della sua vicenda straordinaria e fantascientifica una metafora della vicenda terrena di ogni essere umano. Non tutto torna o è comunque volontariamente talmente complesso da scorare chi si accingesse all'impresa, ma rientra nei patti, esattamente come avveniva per il televisivo “Quantum Leap”, dove i richiami alla fisica quantistica erano funzionali a mascherare alla meglio il vero concept della serie.
Le identità multiple indossate da Jake Gillenhall sono il tratto che narrativamente avvicina di più, nell'immediato, Source Code all'esordio del regista, Moon, ma non v'è dubbio che, nonostante gli abiti civili, le arterie stradali di Chicago, la realtà di un programma governativo e della sua sede operativa, Source Code sia quasi più fantascientifico del suo precedente ambientato nello Spazio. Laddove Moon, infatti, è una meravigliosa pagina di filosofia esistenzialista (solitudine, “individualità”, assurdo dell'esistere), qui il gioco e il pensiero muovono attorno ad una molteplicità di dimensioni (non ultima quella del finale, tutt'altro che posticcio) e il tempo è la variabile chiave, l'unica, tant'è vero che lo spazio è individuato in un non-luogo –il treno-, più che altro una direttrice, un vettore.
L'azione, il thrilling, la velocità del film di Duncan Jones non nascono, dunque, solo dagli espedienti narrativi tipici del genere nella sua declinazione hollywoodiana (la bomba, il conto alla rovescia) ma sono fatti di tempo e movimento: sono fatti della materia di cui è fatto il cinema.
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