giovedì 28 aprile 2011

Cappuccetto rosso sangue (2011)

TRAMA
In un piccolo villaggio ai bordi della foresta, gli abitanti vivono con terrore le notti di luna piena per la presenza di un lupo mannaro. La giovane Valerie è cresciuta in questo clima cupo e segnato dal destino, ma ha anche altri problemi: sin dall’infanzia, è innamorata di Peter, ma i suoi genitori vogliono farle sposare il ricco Henry. Peter e Valerie decidono di fuggire insieme, ma il villaggio è sconvolto da una nuova uccisione causata dal licantropo: la sorella maggiore di Valerie. Il lupo mannaro ha violato una sorta di tregua con i popolani, nonostante questi l’abbiano rispettata offrendogli in sacrificio degli animali. È giunto quindi il momento della vendetta: c’è chi chiama Padre Solomon, specialista in uccisione di licantropi, e chi vuole fare da sé, senza attenderne l’arrivo. Valerie è preoccupata: tra quelli che partono per la caccia c’è anche Peter. La nonna, che vive in una solitaria casa nella foresta, la conforta e le regala un mantello rosso, con cappuccio. La caccia produce l’uccisione di un grosso lupo, ma quando Solomon arriva, avvisa tutti che quello non è un licantropo. Il licantropo, avverte, non è morto ed è ancora più pericoloso. Inoltre, si nasconde tra loro, nella sua forma umana.
La favola di Cappuccetto Rosso è rivisitata liberamente e complicata con un intreccio sentimentale piuttosto banale che tende a ricreare il triangolo di Twilight (il primo episodio della saga è stato diretto dalla Hardwicke), ma con accenti più banali (il matrimonio di convenienza con il ricco e così via). Altri elementi da melodramma rinforzano il lato languido della vicenda: per dirne uno, la mamma di Valerie ha sofferto per la stessa situazione che ora infligge alla figlia e ha dovuto sposare un uomo che non amava. Tutte cose che dovrebbero farci familiarizzare con i personaggi e temere per le loro sorti, ma che si rivelano inefficaci per la loro convenzionalità.
Anche i personaggi più promettenti perdono presto coerenza e consistenza. Padre Solomon è introdotto come il Van Helsing di turno, l’esperto con tutte le risposte. Dopo essere stato Dracula per Coppola, Gary Oldman passa quindi dall’altra parte della barricata ed è autorevole in un ruolo che si presenta interessante proprio per la distanza tra la sua introduzione (ieratico, sicuro) e l’entrata in azione (confusionario, imbelle, ingiusto). Il film tenta di legare la caccia al licantropo a quella alle streghe, dando a Solomon un ruolo da inquisitore, feroce e ingiusto quanto quelli raffigurati nel cinema non solo horror (su tutti, quello interpretato da Vincent Price in Il grande inquisitore). Non manca nemmeno l’uso di sadici strumenti di tortura come un elefante metallico usato per estorcere confessioni ai malcapitati di turno. Ogni ambizione morale e metaforica è però minata dalla progressiva trasformazione di Solomon in una macchietta e dalla totale assenza nel licantropo di qualunque potenza drammatica.
Il problema principale del film sta però nella mancanza di un’anima: indeciso tra l’horror, il sentimentale e la fiaba, si dimentica di costruire una storia avvincente e procede con ritmo torpido senza dare nerbo narrativo a quanto accade tra un assalto e l’altro. Come già avvenuto in altri film di lupi mannari (La notte del licantropo di Paul Annett o Unico indizio la luna piena di Daniel Attias, da Stephen King, per citarne un paio), la caccia al licantropo è anche la caccia alla sua identità. Quindi la ricerca di chi sia il “lupo” dovrebbe essere un elemento di tensione e di sorpresa, ma non lo è, sia per la fiacchezza dell’investigazione sia perché la soluzione è poco sorprendente. Figurativamente, il film è poco incisivo e anche gli effetti speciali non sono più che meramente adeguati.
Nel cast, si rivede con piacere Julie Christie nel ruolo della nonna. Amanda Seyfried è una Cappuccetto Rosso adulta, attraente ma insipida. Alla fine ci si chiede perché sia stata scomodata una vecchia e gloriosa fiaba per trarne un banale racconto di licantropi.

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