TRAMA
Un tycoon amato, carismatico e stimato (Richard Gere) è sul suo aereo privato con i suoi fedelissimi. Una firma che non arriva lo preoccupa, ma fa in tempo a festeggiare i suoi 60 anni con una famiglia perfetta, dalla moglie Susan Sarandon alla figlia Brit Marling, per poi fuggire dall'amante, una Laetitia Casta di bellezza abbagliante e inquietudine capricciosa. Il più classico dei potenti, insomma, ma con più stile e fascino. Nicholas Jarecki, fratello d'arte (di Andrew ed Edward, capaci mestieranti della macchina da presa), su questa straordinaria normalità inserisce un possibile scandalo finanziario e un intrigo privato. E questo Miller, filantropo e geniale, diventa in pochi minuti e in scene ben girate un uomo solo, in difficoltà, che vede crollare tutto attorno a sé e la terra mancare sotto i suoi piedi. In poche ore deve evitare ben due incriminazioni: una per frode - il suo concetto di finanza creativa è simile a quello di Madoff, con tanto di bilanci sbianchettati -, l'altra per omicidio. Dalla prima può salvarlo una vendita a una banca forse più spregiudicata di lui, dalla seconda un miracolo. O anche solo il sistema giudiziario americano, da sempre favorevole al miglior offerente, a chi può pagare i migliori avvocati. E non solo loro.
Thriller finanziario e noir classico, ma anche dramma sentimentale e familiare, La frode, film indipendente girato in 31 giorni, ha il pregio di ricordarci qualcosa di profondamente ovvio, nel mondo attuale, ma doloroso e raramente esplicitato: tutti hanno un prezzo. Tutti. E spostando lo sguardo sui comprimari, seguendo un Richard Gere in buona forma e a suo agio nei panni del cattivo ben vestito, troviamo uomini e donne pronti a tutto per sopraffare il prossimo. Dal poliziotto (Tim Roth) alla moglie devota. E chi crede negli ideali di lealtà, d'amore, di spontaneità, alla fine soccombe.
Jarecki ha l'efficacia di chi non si perde in rivoli narrativi inutili e la sensibilità per raccontare la ferocia gentile di un'aristocrazia economica che non ha regole. Lo afferma proprio Miller-Gere nel dialogo cruciale con la figlia, sua dipendente (è il direttore finanziario della sua società). Lui è "il patriarca, è dio. E tu lavori per me, tutti lavorano per me". Il denaro e il potere sono le colonne d'Ercole oltre cui il mondo non può andare, se non fa parte di un club esclusivo e plaudente che può considerare un assegno di due milioni di dollari come una manciata di spiccioli. Nulla conta più del cerchio magico di questa comunità di eletti: persino quando si fa largo la questione razziale, in verità, tutto si fonda solo su un rapporto di sudditanza che con il colore della pelle non c'entra nulla. E il taglio sulla scena finale, che arriva con qualche secondo di troppo, non lascia consolazioni ma solo riflessioni.
Un buon film La frode, che, come da un po' accade al cinema (questo nuovo trend, forse, è iniziato con Margin Call) svela le ombre del capitalismo e dei valori di questi anni: ottimo il cast, solida la sceneggiatura, intelligente e umile la regia. Non un capolavoro, ma un film di genere che si guarda con interesse. E di cui inevitabilmente si discute fuori dalla sala.
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