venerdì 10 giugno 2011

Four lions (2011)

TRAMA
In un sobborgo inglese, il musulmano devoto Omar ha riunito una cellula terroristica per mettere a punto un sanguinoso attentato in nome della guerra santa contro una cultura corrotta e infedele. Del nucleo fanno parte, oltre ad Omar, il tonto Waj, il timido Faisal e l’inglese Barry, recentemente convertitosi all’islam e infiammato dalla passione del neofita. Nessuno di loro, però, è particolarmente esperto di esplosivi e di organizzazione militare. Anzi…
L’intenzione dichiarata è quella di fare sul tema del terrorismo moderno quello che Il Dottor Stranamore ha fatto sulla guerra fredda. Qualche volta, però, si fa miglior figura a stare zitti. Se si accantonano, invece, pretese come questa, decisamente fuori portata, si può dire di Four Lions che non è “una bomba” ma una scatola di petardi alcuni dei quali fanno effettivamente saltare sulla sedia.
Debutto cinematografico del creativo televisivo Chris Morris, avvezzo a far satira sull’informazione d’attualità, il film scaturisce dalla riflessione per cui anche il progetto criminale più atroce e assassino nasce e cresce nell’incontro tra menti umane, e perciò portate al facile deragliamento, e corpi umani spesso goffi e inadeguati. La farsa è già tra le righe, negli abiti, nei momenti di dubbio, nella dinamica del piccolo gruppo, ma l’operazione è coraggiosa: si scherza con una paura ancora accesa, con i morti del passato più prossimo, con minacce presenti.
Per buona parte della durata, il film è un oggetto realmente insolito: i protagonisti fanno e dicono cose che potrebbero apparire sopra le righe, se non fosse che la loro rabbia e la loro convinzione è estrema e non c’è alcun intervento registico che smorzi il tono o prenda le distanze, nessun in joke. Barry vuole far saltare la moschea per smuovere i musulmani moderati, più morti faranno meglio sarà, nella sua idea, per il futuro dei musulmani stessi, del loro peso politico; Omar ha una famiglia adorabile ma al pensiero di perderli non pare nutrire la minima pena, dà per scontato che non potrebbe farli più felici e orgogliosi che col proprio martirio; e così via: più che ad una ridanciana commedia demenziale ci viene chiesto di aderire ad una parodia nerissima di fatti plausibili ed inquietanti. A volte si riesce -non scoppiare a ridere è impossibile-, altre volte no, specie quando i protagonisti cominciano a morire, di propria mano, per totale stupidità. A questo punto, poi, è il film stesso che si rivela impacciato: mentre da una parte inaugura un’escalation nel segno della provocazione e della richiesta spinta allo spettatore, dall’altra si avvia verso un finale in cui l’ottica di Omar (quella che il film predilige) comincia a snebbiarsi e parte la corsa ai ripari. Si salvano dei momenti –i corvi di Faisal, il concitato dibattito su Chewbecca durante la maratona di massa- ma il resto si autodisintegra.

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