TRAMA
Sansone è il gigantesco alano della famiglia Winslow. La sua ingombrante presenza e il suo carattere irrequieto e poco raffinato non gli inibiscono l'amore incondizionato di ognuno dei membri, il padre Phil, giovane esperto di comunicazione e marketing, la madre Debbie e i loro tre figli. Quando Phil riceve un'offerta di lavoro da parte di un'importante ditta di cibo energizzante per cani, la famiglia Winslow, cane e gatto compresi, si trasferisce in California. Là, Sansone si confronta con il duro ambiente gerarchico dei parchi di Orange County e con le difficoltà di socializzazione all'interno dei vari gruppi canini.
Nella filogenesi che va da Lassie, Rin Tin Tin e Zanna Gialla fino ai più recenti Beethoven, Scooby Doo e chihuahua viziati a Beverly Hills, sembrerebbe che l'evoluzione canina tenda a far prevalere gli animali dai tratti più antropomorfi e dai difetti più marcati. Al cinema dominano i cani più ingombranti e turbolenti o, se non altro, quelli con i vizi più simili all'uomo. In questa prospettiva, normale che trovi nuovo contesto e vitalità anche Sansone, enorme protagonista di brevi strisce umoristiche a lungo pubblicate anche in Italia su “Topolino”, e che l'adattamento alle larghe dimensioni del cinema comporti un'enfatizzazione dei suoi difetti e dei suoi disastri. Nel passaggio dalla carta allo schermo, quello stesso alano silenzioso che da più di cinquant'anni è affettuoso oggetto delle freddure e dell'ironia dei suoi padroni sui quotidiani americani, diventa il miglior amico dell'uomo-spettatore, un animale logorroico di quasi cento chili intento ad ammiccare continuamente al pubblico e a commentare tutto ciò che gli sta attorno.
Il nuovo Sansone si distingue perciò dagli altri molossi prestati al cinema per il modo diretto con cui si rivolge al pubblico infantile e familiare, target più unico che privilegiato di questo tipo di operazioni. Ma se è vero che il film non si fa mancare parentesi musicali né umorismo basso-corporeo, la storia sceglie invece di incrociare la consueta parabola morale sugli affetti familiari con una tipica struttura da teen movie americano, dove l'adolescente loser assapora la vanità dell'essere cool prima di ravvedersi. La dura legge delle high school americane viene trasposta nell'universo cinofilo, fra bastardini e pedigree, e marcata in più occasioni: dall'incipit che mostra un adolescente grande e grosso vessato dalla quotidianità liceale, ai continui ammiccamenti al serial The O.C.. e alle giovani emulatrici di Paris Hilton con chihuahua a bordo della loro borsetta griffata. L'incrocio fra le due sfere, a parte aiutarci a comprendere quanto la forbice fra pubertà e adolescenza si stia ritirando, non fa gioco al film e permette al suo gigantesco cagnone protagonista solo un duplice accumulo di situazioni conosciute e gag corporali abusate. L'ago della bilancia tende solo alla fine a pendere, com'è giusto che sia, sulla famiglia, con la redenzione di un padre assente e distratto alla ricerca della pubblicità perfetta. Nel suo ravvedimento, complici il grosso alano e una ridefinizione della prima regola del marketing: se la pubblicità è l'anima del commercio, un cane è sempre un ottimo testimonial.
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